Le differenze fra un buon capo (leader) e un capo meno valido (boss)

J.B. Leslie e Van Velsor (1996), dopo un’attenta meta-analisi di studi condotti in aziende e fra i dipendenti, hanno indicato quattro punti che sintetizzano il quadro del PESSIMO CAPO:

A) Scarse capacità interpersonali. I pessimi dirigenti mostrano un atteggiamento insensibile e tendono a guardare i sottoposti con supponenza; anche quando agiscono benevolmente ci tengono a sottolineare la loro magnanimità.

B) Non sanno gestire il loro ruolo. La promozione o il ruolo che è’ stato loro assegnato va al di là delle loro capacità di gestirlo o di portare benefici all’azienda. Una volta che il pessimo capo ha avuto quel ruolo, le cose iniziano ad andare male. Se il ruolo l’ha avuto fin dall’inizio (azienda di famiglia) le cose sono sempre andate male anche se l’azienda si è tenuta economicamente in piedi.

C) Non sanno portare a compimento il lavoro. I cattivi capi sono pieni di idee ambiziose (più che buone), quasi tutte destinate a non trovare realizzazione.

D) Non sanno costruire un team di lavoro. Quella che dovrebbe essere la loro più fondamentale prerogativa, ovvero costruire un buon gruppo di lavoro, non si realizza, perché essi sono deficitari nella costruzione della fiducia, nella capacità di ben assegnare ruoli, di promuovere una buona comunicazione.

Hogan e Hogan (2003) hanno scoperto come dietro tanta incapacità spesso risieda un disagio psicologico o, peggio, un disturbo di personalità di tipo narcisistico che non solo sulle prime è difficile identificare, ma anzi, li aiuta a fare un’ottima impressione nei primi colloqui; tuttavia si capisce col tempo come il narcisista apprenda poco dai propri errori e si preoccupi piuttosto che la gente che abita l’ambiente di lavoro riconosca il suo titolo e il suo potere. La persona però ormai è assunta e non è facile spostarla dal suo posto adducendo come motivazione i suoi deficit umani. Insediatosi nel suo ruolo, questo pessimo capo inizia a mostrare le sue vere caratteristiche:

A) La simpatia, nella mani di questi soggetti, non è un sentimento di vicinanza ma uno strumento di manipolazione. Possono attirare la vostra simpatia anche raccontandovi qualcosa della loro vita che solleciti la vostra pietà. In realtà hanno bisogno spesso di ricostruire la simpatia nei loro confronti, dato che la perdono facilmente per loro comportamenti che lasciano a desiderare. La simpatia è spesso anche connessa alla loro capacità di farvi sentire speciali, indispensabili, lodando le vostre capacità (magari svalutando sottilmente quelle degli altri che non ascoltano). Questa simpatia fra voi e il pessimo capo però dura poco e il suo comportamento cambia, lasciandovi interdetti sul perché prima era così “amico” e ora no.

B) Questi soggetti amano il controllo, dell’ambiente e di chi lo abita. Tipico di loro far fare cose alle persone anche se non se ne capisce il motivo o il beneficio. Che l’ambiente segua le direttive di tali soggetti è la prova del loro potere su di esso, ecco il motivo e il loro beneficio.

C) I pessimi capi sono dei vampiri, di energie e di idee. Quello che producono loro è effettivamente poca roba anche se amano poi dipingersi come degli stacanovisti. Sfruttano piuttosto le idee degli altri essendo poi capacissimi di attribuirsene i meriti. Le stantie idee dei pessimi capi vengono rianimate, nutrite, e coltivate dal lavoro altrui, e poi, una volta diventato qualcosa di degno, confiscate dal cattivo capo che farà leva sul senso del gruppo per evitare che i sottoposti cerchino riconoscimento personale. “Il gruppo prima di tutto!”, poi però il loro nome oblitera il vostro!

D) I cattivi capi non sono persone sincere, quindi vi troverete presto a usare termini quali “incomprensione”, “fraintendimento” e frasi tipo “ho frainteso” o “fiducia mal riposta”.

E) Le amicizie del pessimo capo non sono vere amicizie, ma piuttosto possono essere definite “dinamiche relazionali d’interesse univoco”; del cattivo capo si è amici finché gli conviene, quindi i rapporti, anche i più “belli” finiscono improvvisamente a vantaggio (temporaneo) di qualcun altro, quando la vostra utilità è terminata oppure egli ritiene che lo abbiate offeso.

F) Il pessimo capo non si attribuisce colpe ma è invece bravissimo a reindirizzare la colpa altrove. Per fare da scudo alla sua reputazione, userà i suoi collaboratori, “amici” sacrificabili”.

G) Un attacco al pessimo capo è un reato di lesa maestà. I loro silenzi, bronci o arrabbiature non sono tanto specchio di una sofferenza personale per ciò che hanno ritenuto un insulto, bensì l’ennesima tecnica manipolativa atta a minimizzare le possibilità di future trasgressioni.

H) Il cattivo capo si sente più intelligente e furbo della media. Questo lo porta a sottostimare gli altri e, prima o poi, ad infrangere regole e leggi, ritenendo di essere troppo furbo per essere scoperto. Se siete un suo “amico”, ovviamente alla resa dei conti, che arriva dato che sono stati sottostimati i rischi, anche voi pagherete il conto.

I) Il pessimo capo è servile con i potenti e arrogante con i deboli. E non ce la fa a trattenersi dall’essere così meschino.

J) I pessimi capi sono prima di tutto pessime persone e la nostra istintiva capacità a rilevare ciò (vissuti di disagio che si attivano al solo stare vicino a persone negative) possono sbagliare, ma anche no. Ascoltate la vostra pancia!

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D’altra parte la ricerca di Hogan e Kaiser (2005) ci hanno anche indicato quali caratteristiche ha il BUON CAPO:

A) E' modesto, nonostante il ruolo che ricopre.

B) E' un decisionista e, presa la decisione, la porta avanti assumendosene anche la responsabilità. Il decisionismo non va confuso con l’inflessibilità.

C) E' competente, quindi è una risorsa concreta per il gruppo che guida.

D) Benché non perfetto, è una persona di comprovata integrità.

E) Migliora la performance di coloro che lavorano per lui, così come l’impegno e la soddisfazione.

F) Ha una visione che proietta mentalmente anche agli altri. Una visione davvero produttiva e emotivamente difficilmente si limita alla produzione e alla ricchezza in senso economico, in genere si estende ad una positiva attitudine di vita.

Il buon capo riesce a realizzare i suoi fini soprattutto tramite una saggia gestione del gruppo e l’ottimizzazione di esso avviene attraverso una serie di azioni, quali:

1) Creare gruppi di lavoro misti rispetto al genere. La ricerca ha mostrato che team di lavoro misti, composti sia da uomini che da donne, sono più performanti di quelli composti solo da donne o solo da uomini (Hoogendoorn et al., 2011) .

2) Costruire la fiducia fra membri. E’ importante che il gruppo trasmetta fiducia e ciò può avvenire solo se i membri stessi del gruppo hanno fiducia uno rispetto all’altro. Così come la forza di una catena è data dal suo anello più debole, l’affidabilità di un gruppo è data dalla fiducia che ispira il meno affidabile.

3) Dare importanza alla sensibilità sociale dei membri. Potete avere un gruppo di membri molto intelligenti, ma non andrete molto lontano se questi membri non dimostreranno una buona sensibilità sociale, verso loro stessi e le loro dinamiche e ovviamente verso l’esterno (acquirenti, pubblico, etc.). Sensibilità sociale significa capacità di dialogo costruttivo, capacità di ascoltare gli altri, rispetto degli altri, mentalità aperta ed altro. L’intelligenza è nulla senza controllo!

4) Evitare inutili seriosità ed inserire l’umorismo (rispettoso!) che riduce lo stress e rende più coeso il gruppo.

5) Mescolare i tipi umani. Mai creare gruppi di soli introversi o soli estroversi, peraltro la ricerca mostra che, sul lungo termine, gli introversi rendono meglio degli estroversi, i quali tendono invece a disattendere le aspettative.

6) Definire bene i ruoli di ognuno poiché non definirli sulle prime suona come molto democratico e aperto ma già nel breve termine crea confusione.

7) Creare un gruppo che condivida bene o male gli stessi modelli mentali, in modo che esso possa funzionare tramite una coordinazione implicita e non sempre sollecitata. Le divergenze di veduta sono una bella cosa in società ma non sono esattamente funzionali in un team di lavoro. Un gruppo che invece condivide a grandi linee un modello mentale, sarà capace di vivere più sereno.

8) Evitare eccessi di comunicazione. La comunicazione deve essere coincisa, chiara e non eccessiva. Quindi evitare la burocratizzazione della comunicazione!

Riferimenti

Leslie, J. B., e Van Velsor, E. (1996). A look at derailment today. Center for CreativeLeadership. Greensboro, NC.
Hogan R., Hogan J. (2003), Assessing Leadership: A View from the Dark Side. DOI: 10.1111/1468-2389.00162
Hogan R., Kaiser R.B. (2005), What We Know About Leadership. Review of General Psychology, Vol. 9, No. 2, 169–180.
Hoogendoorn S., Oosterbeek H., Van Praag (2011), The Impact of Gender Diversity on the Performance of Business Teams: Evidence from a Field Experiment. Tinbergen Institute Discussion Paper No. 11-074/3.

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