Psicologia in cabina di pilotaggio (intervista video 2017)

Abbiamo il piacere di avere con noi il Comandante Daniele Jacchia, comandante di voli commerciali con più di 6000 ore di volo, al quale, come prima domanda, mi viene da chiedergli se è d’accordo con me rispetto a questa visione. Esistono tre tipi di passeggeri, un primo tipo non è di fatto un passeggero perché ha così tanta paura che l’aereo non lo prende mai, poi un secondo tipo che non ha assolutamente paura e vive con serenità il volo, e poi una terza categoria che forse è la più ampia: quella delle persone che prendono i voli e che però, ogni tanto, hanno paura magari in una fase specifica del volo. Di fatto, quali sono le fasi del volo più critiche tecnicamente?

Allora, sicuramente le fasi del decollo e dell’atterraggio sono le più critiche. La fase di crociera è la più tranquilla, nel senso che il livello di automatismo permette una certa tranquillità anche per noi piloti. Mentre quella di decollo è quella in cui i motori vengono spinti al massimo, quindi quella in cui all’aereo viene richiesto più sforzo. La fase di atterraggio è critica nella misura in cui magari ci si deve confrontare con condizioni metereologiche non ottimali. Comunque la fase di crociera è senz’altro quella più tranquilla.

E’ sulla bocca di tutti la tragedia aerea che ha convolto la squadra di calcio brasiliana. Com’è possibile una cosa del genere? Cosa è successo?

Guardi, è sempre molto pericoloso, per non dire di peggio, azzardare delle ipotesi prima che le indagini ufficiali vengano completate e diano il loro responso. Tra l’altro, quando purtroppo capita una sciagura aerea come quella, c’è sempre un certo accanimento giornalistico che giunge a delle conclusioni spesso azzardate e ancor più spesso del tutto sbagliate. Sicuramente, in questo caso specifico, ci sono già degli elementi abbastanza certi che farebbero supporre che l’aereo avrebbe terminato il carburante pochi minuti prima di raggiungere l’aeroporto di destinazione. Perché questo sia successo è ancora da capire. Però mi rendo conto che è una tragedia, e per chi non affronta il viaggio in aereo con serenità la cosa non aiuta. L’aspetto positivo, se così si può dire, di una tragedia come questa, è che dalle indagini scaturiscono sempre delle raccomandazioni o, addirittura, delle disposizioni che vengono prontamente assimilate dalle compagnie aeree, dalle autorità aeronautiche, dai costruttori di aeromobili che lavorano sempre in sintonia totale per far sì che certi motivi scatenanti, certi problemi non abbiano più luogo. Da questo punto di vista, la storia dell’aviazione commerciale degli ultimi 30 o 40 anni ha fatto passi da gigante in questa direzione.

Lei mi diceva prima che è istruttore di fattore umano. Cosa significa?

Sì. Il fattore umano studia, in estrema sintesi, la relazione tra l’uomo e la macchina e tra l’uomo e l’uomo, inteso come il collega con cui si lavora o anche il passeggero che noi trasportiamo ogni giorno. E’ una materia molto vasta e in continua evoluzione, che tra l’altro risente anche di influenze legate alle culture dei vari paesi. Per quanto riguarda l’Europa, c’è una grande intesa tra le autorità aeronautiche e tutto sommato non ci sono poi così grandi differenze tra il pilota e l’assistente di volo italiano e francese o tedesco. Perché si studia il fattore umano? Perché talvolta capita che l’errore venga commesso dall’essere umano ed è molto più complesso modificare un comportamento o un attitudine piuttosto che cambiare una vita o un ingranaggio che non funziona correttamente in un aereo.

Quale esempio pratico mi può fare del fattore umano?

Ma guardi, per esempio c’è un pilota che è diventato famoso anche sul grande schermo. E’ uscito recentemente al cinema il film Sully che racconta fedelmente quello che è successo qualche anno fa … non so se si ricorda … Un aereo decollato da New York City ha impattato con delle oche, ha perso entrambi i motori, entrambi i motori si sono spenti ad una quota piuttosto bassa, e il pilota Sully, non avendo altre possibilità, ha deciso di portare l’aereo ad un ammaraggio sul fiume Hudson …

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Insomma, non tutto finisce male. Ma in questo caso cosa ha funzionato bene?

Esatto, non tutto finisce male, perché talvolta gli incidenti, se così si può dire, finiscono anche bene, o per lo meno non hanno il tragico epilogo che tutti tendiamo ad associarvi. Che cosa ha funzionato in questo incidente, quello che vede Mr. Sully protagonista? Ha funzionato la coordinazione con i vari membri dell’equipaggio. In così poco tempo, riuscire a portare un aereo a terra, tra virgolette, senza nessun morto, soltanto con qualche lieve contuso è un grande successo. L’altra cosa che ha funzionato è stata la capacità, in questo caso specifico dei piloti, di improvvisare o, per lo meno, di fronteggiare con successo una situazione, un’anomalia non codificata e, mi verrebbe anche da aggiungere, non codificabile …

Esatto, quindi pilota automatico, tecnologia, computer, però il fattore umano che può anche avere dei punti critici è di fatto il fattore che porta a terra l’aereo …

E’ il fattore che permette di fare quel passo in più che la macchina non è in grado di fare. Mi viene da dire: la macchina ragiona con un sistema binario, mentre l’essere umano è in grado di trovare una soluzione laddove non esiste in un semplice sistema binario.

Pensavo a questo. Io qualche giorno fa ho preso l’aereo, non è la prima volta, e mi sono reso conto di un mio comportamento che credo abbiano molti altri passeggeri. Non essendo la prima volta che prendevo l’aereo, nel momento in cui l’assistente di volo spiega le varie procedure di sicurezza mi sono distratto, non l’ho ascoltata, avevo altro da fare, e questa è stata sicuramente una mia grande superficialità e penso che questo comportamento lo possano avere tanti passeggeri i quali, dopo aver visto molte volte queste procedure, pensano “tanto le so, non ho bisogni di ascoltare” e invece mi sa che facciamo molto male …

Guardi, sicuramente è un errore quello di non ascoltare la dimostrazione delle procedure di sicurezza e di emergenza. E’ un’abitudine soprattutto diffusa fra coloro che viaggiano con una certa frequenza. Io le posso portare il mio esempio da addetto ai lavori e molto spesso anche da passeggero. Quando viaggio da passeggero e mi siedo al mio posto faccio sempre tre cose, e cioè: mi allaccio la cintura di sicurezza che non mi slaccio fino alla fine del volo, metto una mano sotto il sedile per controllare che ci sia il salvagente perché talvolta si stacca e conto le file di sedili che mi separano dall’uscita di sicurezza più vicina davanti e dietro di me, cosa che poi ricordo come un “davanti o dietro.” Queste cose mi danno una certa tranquillità, se così si può dire, ma soprattutto mi danno un vantaggio casomai dovesse capitare qualche cosa, cioè io so già che cosa devo fare, so già dove mi devo muovere. Questo sicuramente fa la differenza.

Certo. Io sono uno psicologo, ho i miei modi e ho le mie strategie. Lei è un comandante. Cosa si sentirebbe di dire alle persone terrorizzate dal volare in aereo?

Mi verrebbe da dire che, in giro per il mondo ci sono migliaia di piloti e assistenti di volo che viaggiano regolarmente, ogni giorno, magari facendo quattro o cinque voli al giorno e lo fanno con tranquillità, serenità e professionalità. Questo perché rispettano scrupolosamente un certo numero di regole che, di fatto, rendono il volo sicuro. Allora, o siamo tutti dei pazzi, oppure, anche statisticamente parlando, volare non è poi così pericoloso. Ci sono sicuramente mestieri più pericolosi che vengono affrontati e presi in considerazione leggerezza forse, rispetto al prendere o pilotare un aereo. Quindi, quello che mi sento di fare da pilota è cercare di trasmettere questa serenità, data anche dalla routine, dall’abitudine, che ormai non ci spaventa più.

E poi, in fondo, mi viene da dire, non sanno cosa si perdono perché il volo, come comandante in un certo modo, come passeggero in un altro, è molto affascinante

Questo testo è trascrizione di un mio video - GUARDA IL VIDEO

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