Problema personale o di cultura aziendale?

Un tempo si parlava semplicemente di un esaurimento nervoso che si poteva avere al lavoro. La sindrome da burnout, in realtà, è una specifica sindrome alla quale possono andare incontro tutti coloro che svolgono professioni di aiuto: psicologi, assistenti sociali, poliziotti, infermieri, medici, etc. Lo stress psico-emotivo connesso al fatto di farsi carico dell’assistenza psico-fisica del paziente, può non essere elaborato, farsi pesante (detto in modo molto semplice) ed esaurire le risorse psicologiche e fisiche del lavoratore. E cosa accade?

Abbiamo un esaurimento fisico e psicologico, quindi stanchezza, di solito sindromi ansioso-depressive, poca voglia di affrontare il lavoro, poca voglia di relazionarsi con i colleghi e con i superiori, quindi una caduta generale della performance che impatta sull’azienda. Ora, in una fase storica, come quella che stiamo vivendo, di crisi economica se ne parla sempre di più perché è una condizione patologica che ha in parte a che fare con le capacità, con la resilienza di un soggetto singolo, cioè la sua capacità di resistere personalmente alle difficoltà che ha con una determinata utenza e trasformarle eventualmente anche in risorse, e in parte anche con le condizioni dell’azienda. Sappiamo infatti che aziende che investono sulla qualità dell’ambiente lavorativo, cioè sull’organizzazione del lavoro, la turistica, il rapporto fra dipendenti: orizzontale fra parigrado e verticale fra subordinato e quadro o dirigente, tutto ciò aiuta l’ambiente lavorativo a non essere un ambiente nocivo e quindi evita che si sviluppino o limitano l’insorgere del burnout. Perciò mi sento di consigliare alle aziende un investimento che sia organizzativo e psicologico, affinché questo tipo di situazioni non si sviluppino. Perché in realtà uno scarso investimento in azienda circa la prevenzione di queste situazioni poi si paga nel medio e lungo termine con un aggravarsi delle condizioni dei dipendenti che poi finiscono per assentarsi dal lavoro, stare a casa, con generale perdita economica etc.

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Ora, non tutti i problemi sono responsabilità dell’azienda: è noto che vi siano persone con una certa predisposizione al disagio poiché caratterizzate da condizioni subcliniche, cioè una persona non pienamente patologica (cioè non soddisfa ancora i criteri per una diagnosi) che però posta in determinate condizioni di stress, come può essere quella dell’assistenza alla persona, slatentizzano una condizione patologica. Si sente anche spesso parlare di casi in cui maestre d’asilo o assistenti agli anziani nelle case di riposo picchiano appunto bambini e anziani e sovente ci si difende utilizzando la scusa del burnout; in realtà, come clinico, ritengo che una condizione di burnout difficilmente possa arrivare a giustificare un comportamento iperviolento e sadico, perciò questi soggetti hanno a mio avviso quadri di personalità peculiari e tentano di difendersi appellandosi al burnout. Tuttavia un fattore di prevenzione può essere messo in atto nella fase dell’assunzione di queste persone e nell’offrire ciclicamente in azienda degli incontri di gruppo nel quale possono essere messi in luce delle difficoltà in modo anche eventualmente da mettere all’angolo ed estromettere dall’azienda soggetti disturbati a prescindere dallo stress implicato nella professione d’aiuto. Queste alcune prime riflessioni generali sulla sindrome da burnout, che è particolare perché si caratterizza per stare a metà strada fra l’essere una condizione puramente clinica e soggettiva, e allo stesso tempo ad una buona ecologia aziendale, ad una buona organizzazione del lavoro che può fortissimamente condizionare la comparsa in azienda o la soluzione del burnout in ambito aziendale.

Questo testo è trascrizione di un mio video - GUARDA IL VIDEO

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